Non è un paese per vecchi

Llewelyn Moss trova per caso una valigetta piena di soldi, refurtiva di un colpo andato male. Il killer Anton Chigurh lo segue e pur di riavere indietro la valigetta compirà una strage.
    Diretto da: Joel Coen, Ethan Coen
    Genere: drammatico
    Durata: 122'
    Con: Tommy Lee-Jones, Javier Bardem
    Paese: USA
    Anno: 2007
7.6

Tutto inizia in un paesaggio semi desertico, una landa fredda e spoglia sulle cui immagini scorre un commento disincantato sulla banalità del male, in questo modo i Coen mettono subito in chiaro l’aspetto più intimamente violento dell’operazione-Cormac McCarthy. E’ bene sottolinearlo: Non è un paese per vecchi non è affatto un film facile da digerire. E’ uno di quei film che mettono lo spettatore con le spalle al muro, che deviano continuamente l’orizzonte dello sguardo.

Se in The Village, per esempio, Shyamalan interpone tra lo sguardo dello spettatore e il cinema un’interpellazione quasi didattico-poetica, per non dire “rosselliniana”, i Coen con Non è un paese per vecchi sono “costretti” ad addentrarsi in un angolo limitrofo dell’immagine e dell’immaginario noir-western per cogliere uno sguardo vergine. Tentare di inquadrare qualcosa di mai visto. Così il film diventa una requisitoria morale serrata sulla rapacità umana che toglie spesso il respiro alle immagini e agli stessi personaggi. Lo sceriffo interpretato da Tommy Lee-Jones cerca una via d’uscita dalla blasfemia circostante, cerca un senso da dare a cose orribili che un senso non ce l’hanno. E’ come se i Coen volessero dare una risposta all’orrore e alla violenza, senza trovarla.

No country for old man si fa grandissimo nel cinema, nella pura costruzione visiva delle sequenze, ma arretra di fronte alla ricerca di un senso da dare all’intera opera, cruda e realistica, quasi visionaria per come è calibrata, il che è quasi un ossimoro. E’ un difetto della struttura narrativa non riuscire a dare spiegazioni? E perchè i Coen dovrebbero dare delle spiegazioni? Il didascalismo non è mai stato nelle loro corde, il loro cinema si fonda da sempre sulle ellissi. Allora cosa manca a questo film splendido, freddo e senz’anima, come fosse una pietra preziosa? L’anima del noir trapiantata nelle aride lande del west ha prodotto un ibrido difficilmente sondabile.

Questo è un film da cui non si esce. Quando la moglie di Llewelyn Moss (Josh Brolin) chiede allo sceriffo il senso delle sue strane divagazioni filosofiche lui risponde “niente, pensieri in libertà”: si potrebbero dare infinite interpretazioni di questa battuta, l’abilità sta nel vedere oltre, di conoscere il limite, e con questo grande film i Coen hanno forse superato una barriera che non andava infranta: quella che separa il thriller puro (il film di genere) dall’operazione filosofica. I pensieri in libertà di solito appartengono ai poeti, categoria cui forse i Coen appartengono, dando un corso “limitrofo” al loro cinema sempre più sibillino e distaccato dai confini del genere puro, intendendolo ormai come campo di sperimentazione ad oltranza.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).