Ho avuto modo di vedere per la prima volta il primo medio metraggio di David Lynch, The Grandmother datato 1970. La durata è di poco più di mezz’ora, il film è disponibile oggi in versione restaurata. Decenni fa ci sarebbe voluto un miracolo per poterlo visionare, ora bisogna solo rammentare che il film esiste, nel mare magnum degli archivi digitali. Chi lo vide all’epoca su grande schermo avrà ricevuto un’emozione amplificata nello stupore, davanti a un’opera davvero singolare.
The Grandmother possiede intuizioni primarie che in seguito verranno riprese e maggiormente elaborate dal Lynch in Eraserhead (1977), film di cui si è già disquisito, basta andare a rileggere Paolo Cherchi Usai per avere un’idea più che esaustiva sull’argomento. L’antesignano del cult datato 1977 ne è una copia sghemba, una canzone stridula che arriva in modo inatteso. Le animazioni sono naive, quasi ridicole nel loro svolgersi molto fanciullesco ed è questo che conferisce al quadro un sentimento di onestà e umiltà totali. Lynch è un regista umile, The Grandmother è una cosa curiosa, l’esercizio di un ragazzino che si diverte con giocattoli inventati di primo acchitto, soprattutto per mancanza di un vero e proprio budget.
Il film è sostanzialmente muto, popolato da quattro personaggi: il figlio poco meno che adolescente, i terribili genitori e la nonna, magicamente uscita dall’albero creato dal figlio. I rapporti sono immediati e si svolgono lungo linee frammentarie, tutto il film è ripreso in un’aria di turbamento fanciullesco, la colonna sonora accenna movimenti minacciosi senza mai essere invadente. Su Eraserhead il ritmo diventerà più laconico e meditabondo. Da questo punto di vista The Grandmother è decisamente più movimentato, non si tratta ancora di un’opera controversa e per certi versi morbosa. The Grandmother è una scheggia impazzita che non pretende nulla dallo spettatore, ma lo invoglia a giocare con le interpretazioni.