Ogni nuova produzione bondiana è un banco di prova che serve a testare le capacità drammaturgiche dei nuovi talenti in circolazione. Nel caso di No Time To Die il regista Cary Fukunaga autore di True Detective, qui anche co-sceneggiatore, collabora con la creatrice di Fleabag, Phoebe Waller-Bridge e i danni si sentono. L’action viene impaginato a fatica e i dialoghi stentano, la lentezza è a volte esasperante. Forse non è un male, a seconda se si preferisce la maggior introspezione psicologica dei personaggi. La durata complessiva del film non è diversa da Skyfall e Spectre, anche se quest precedenti capitoli avevano tutt’altra gestione. Messi in mano a Sam Mendes, regista che non aveva firmato lo script, le scene erano decorate in modo maggiormente efficace.
Con No Time To Die a volte sembra di stare davanti ad un dramma di Antonioni sull’incomunicabilità. E’ una scelta a doppia faccia. Non è un film roboante e si ferma spesso nella contemplazione dei volti. Nel caso di Christoph Waltz la raffigurazione del detenuto è smagliante e sibillina. Così come il personaggio di Lea Seydoux che sembra simulare un oscuro doppio gioco. Ana De Armas compare poco nella scena dell festa notturna e s’impone con le sue forme slanciate e sinuose. Rami Malek fatica a entrare nel gioco e resta impalpabile. Si deve rimpiangere Dennis Hopper?
No Time To Die è un action stanco ma ben rifinito, anche troppo. Sarà capace di dire qualcosa negli anni a venire. Che la lentezza di Fukunaga sia un pregio? Il modello televisivo di True Detective fa capolino nella costruzione di molte scene in interni, ma al cinema si hanno a disposizione solo due ore e mezza, non dieci ore. Il cinema bondiano serve espressamente per valorizzare le location trovate per l’occasione. In questo caso la scelta di Matera è alquanto suggestiva.