Pare sia nata una nuova stella del cinema sentimental-intimista: Rysuke Hamaguchi. Condivide con il sucoreano Hong Sang-soo un cinema minimalista fatto di piccole cose, dialoghi interminabili, sguardi, movimenti impercettibili dell’anima. Entrambi hanno ricevuto una consacrazione nei festival europei. Hamaguchi con Il gioco del destino e della fantasia è al dodicesimo lungometraggio (inclusi quattro documentari), e per la prima volta un suo film viene acquistato dalla distribuzione italiana per il grande schermo. Al Festival di Locarno del 2015 Hamaguchi aveva portato in Concorso Happi Awa (Happy Hour), una commedia sentimentale della durata di cinque ore e un quarto, ricevendo il premio per le migliori attrici. Con Il gioco del destino e della fantasia il regista vince l’Orso d’Argento a Berlino 2021 e con il successivo Drive My Car, presentato a Cannes 2021 vince il premio per la miglior sceneggiatura, ma molti ne reclamavano la Palma d’Oro.
Gli estimatori come si può ben vedere sono molti. E’ la nascita di un nuovo autore? Per rispondere alla domanda chi scrive si è dovuto recare al cinema a visionare il film. Nelle due ore di proiezione quello che emerge è un film ripartito in tre storie, quasi sul modello del 4 Adventures de Reinette et Mirabelle di Rohmer (1987), ma con esiti molto distanti dalla fluidità del genio francese. Hong Sang-soo venne paragonato anni fa sul web e non solo ad un Rohmer coreano, come se il cinema asiatico basato sullo sguardo potesse essere ricondotto a quello francese di Rohmer, che non ha eguali ed è piuttosto impossibile da rifare.
Nelle tre storie dirette da Hamaguchi quello che resta è una difficoltà nella costruzione del casting delle prime due storie, e una sensazione di cinema fatto di nulla, aria sospesa nel vuoto. E’ molto difficile fare cinema intimista e minimalista con materiali così involuti. Rohmer raccontava storie intimiste quando i computer non esistevano ancora, ma aveva l’accortezza di azzeccare il cast. Hamaguchi riesce nell’intento di far interessare alla storia dall’inizio alla fine solo con la terza parte del trittico, grazie alle interpretazioni puntuali di Fusako Urabe e Aoba Kawai.