Erano necessarie le cinque ore di SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano per raccontare una storia tanto agghiacciante quanto perfetta, nella sua spettacolare audacia fuori dal tempo. Per mettere in scena il tessuto narrativo di San Patrignano anni ’70 e ’80 non c’è stato bisogno di chiamare attori del calibro di Battiston, Michele Placido, o ancora peggio Scamarcio o Mastandrea. Il volto di Vincenzo Muccioli basta e avanza, è sufficiente e necessario ad interpretare da solo il ruolo di piccolo satanasso romagnolo.
Cinque ore di una miniserie televisiva italiana prodotta da Netflix costituiscono un telaio temporale da cui si dipana una tensione che, man mano, diventa sempre più crescente. Viene contrappuntata da un uso del montaggio e dei ralenti non sempre puntuali, ma il risultato finale che ne emerge è una sorta di rappresentazione sadiana, che ricorda i gironi infernali del Salò/Sade pasoliniano, certamente, una volta tolti i dettagli più truci usati da Pasolini.
Eppure, anche senza l’utilizzo di immagini e invenzioni narrative scioccanti (anche se nel documentario di Cosima Spender le immagini forti ci sono, tanto da far indicare al sito Imdb.com la dicitura “v.m.14”), la sensazione di assistere ad un lungo e inesorabile disegno dantesco si avverte. SanPa non è un documentario come tutti gli altri, serve a richiamare alla memoria un’Italia, o meglio un’italietta piccola e meschina di cui forse ci si è dimenticati, un Paese dove sopravvivevano dei retaggi di comportamenti di stampo medievale e dove la società civile era in fondo d’accordo nell’utilizzo di metodi coercitivi devastanti, per combattere una realtà davanti alla quale ci si trovava senza strumenti certi.
Il corollario di facce di ieri e di oggi, (Paolo Villaggio, la famiglia Moratti, i devastanti Red Ronnie e Indro Montanelli, la pletora di magistrati e giornalisti e di presentatori televisivi, mette in scena uno spettacolo da circo equestre, dove ognuno cerca di esprimersi nel peggiore dei modi possibili e serve a rende l’atmosfera del documentario ancora più inquietante e del tutto incredibile.
Dov’è il cinema in tutto questo? Nei fantasmi pasoliniani/sadiani? Nei racconti, nelle testimonianze degli ex “carcerati” del famigerato San Patrignano? Una struttura terapeutica che, negli anni, assume le sfumature, neanche troppo celate, tra la coercizione e il lager, che comunque ha salvato la vita a migliaia di giovani in difficoltà, meritava un ritratto così fosco? La risposta è nella potenza del quadro visivo. Nel fatto che una ricostruzione fittizia con attori sarebbe stata insostenibile e ridicola, soprattutto se Alba Rohrwacher o Anna Foglietta fossero state chiamate a interpretare alcune delle ragazze vittime di violenze, all’interno della struttura.