Si tratta di una nuova versione rispetto al film capostipite di David Lynch. Il testo di Frank Herbert è lo stesso, naturalmente ampliato, visto l’aumento del budget. Dune di Lynch durava 139 minuti, con l’edizione speciale USA arrivava a 190, questo dittico di Denis Villeneuve raggiunge le 5 ore e 21 minuti. Più tempo, lo spazio scenico è lo stesso. Allora dov’è la differenza?
Bisogna tornare all’edizione 2017 di Blade Runner 2049. Lì era stato progettato, con notevole azzardo, a distanza di 35 anni, un nuovo blocco narrativo, il cui inizio aveva luogo là dove terminava il film di Ridley Scott. Con il risultato di avere una materia narrativa nuova, applicata ad un mondo narrativo pre-esistente, creato da Scott. Questa nuova materia narrativa veniva gestita a grande fatica dal regista canadese. Dopo 110 minuti circa di Blade Runner 2049, tra il ramo narrativo della figlia di Deckard e l’ingresso in scena di Amira Hass a stento si riusciva a seguire la trama. Questa d’altronde è la stessa cosa che succede guardando la nuova saga di Star Wars, tutta scritta e diretta da George Lucas, uscita nel 1999-2005, capita tranquillamente anche con le ramificazioni narrative de Il Signore degli Anelli, soprattutto ne Le due torri e Il ritorno del re. Ovvero: solo chi aveva letto e compreso bene il testo di Tolkien poteva pretendere di capire cosa diavolo fosse Minas Tirith. Tutti gli altri si ritrovano a subire uno spettacolo magnifico, creato da un esercito di tecnici altamente professionali i quali hanno lavorato in modo tale da impedirti di dire che il film è brutto. Succede ovviamente anche per la saga de Lo Hobbit, per non parlare dei deliri estetico narrativi di Avengers e Spider-Man Nuovo Universo. Queste sono le caratteristiche del nuovo cinema digitale di Hollywood.
Con Dune 2021 e Dune Parte Due Villeneuve ha ripetuto il lavoro che si fa da decenni con i testi di William Shakespeare, da l’Amleto a Romeo e Giulietta: si rifà. E’ una nuova messa in scena. Dal punto di vista visivo, rispetto al capitolo del 2021, si avvertono in modo più evidente gli stilemi estetici degli anni ’80, con le inquadrature delle dune di sabbia e del sole tagliato a metà durante il tramonto sabbioso, che paiono prese di peso dai film di 40 anni fa. Mentre il primo capitolo tentava di creare visivamente un nuovo discorso.
In Dune: parte due ci si può soffermare su un’inquadratura vista su grande schermo che, così, istintivamente, resta nella memoria. E’ quella della navicella spaziale del casato Arkonnen, ripresa dall’alto a distanza medio ravvicinata, mentre è intenta a sparare raggi laser. Lì s’intravvede il senso dell’operazione commerciale compiuta di Villeneuve. Giocare con i milioni di Hollywood. Finora gli sono stati concessi questi giocattoli. Dovrà fare come Nolan e continuare a far guadagnare le major non solo per le produzioni comandate dall’alto come questa, ma rischiando l’azzardo di costruzioni narrative proprie.