Per la critica cinematografica italiana Hayao Miyazaki è una specie di enigma tale da trascinare ondate incontrollate di meraviglia, ogni volta che i suoi film arrivano sugli schermi. Essendo stata la tradizione distributiva italiana per decenni comandata dalle produzioni statunitensi, targate Disney dal 1938 (anno dell’uscita di Biancaneve e i sette nani), fino alla fine degli anni ’90, mentre i prodotti Pixar, Dreamworks e Illumination Entertainment (la casa di produzione che ha creato Cattivissimo Me e Minions), hanno comandato il mercato negli anni ’00, il rapporto con la quasi totalità dei prodotti americani è stata costantemente votata alla più severa, intransigente e esigente analisi critica, non appena arriva un film di Miyazaki, esplode generalmente un senso diffuso di meraviglia.
Questo è il motivo per cui i toni sono così entusiasti e completamente rivolti ad una stupefazione senza se e senza ma. Certamente alcuni restano indifferenti al suo linguaggio, prosciugato dal sentimentalismo dominante nel cinema d’animazione statunitense, ma la loro voce ha sempre avuto un peso minore. Fin dai tempi del Premio Oscar di La città incantata (2001) si è ufficializzato, in una parte consistente della critica e in minor parte anche del pubblico, uno strano matrimonio molto esclusivo. Il risultato è che sembra impossibile trattar male o con sufficienza i film del “cosiddetto” maestro dell’animazione asiatica Miyazaki.
Quindi si arriva al punto odierno. Dieci anni dopo l’annunciato ritiro dalle scene (2013, l’anno di uscita di Si alza il vento, film molto più sobrio e contemplativo rispetto a Il ragazzo e l’airone) il regista torna con prepotente tranquillità e Il ragazzo e l’airone vince subito il Golden Globe e, molto probabilmente vincerà anche l’Oscar, il suo secondo. Difatti pare che gli americani abbiano accusato il colpo e si siano invaghiti, come ai tempi de La città incantata. Cosa che non avviene tutti gli anni. Arriviamo al punto: Il ragazzo e l’airone riesce a ripetere l’esperienza di sconvolgente emozione e perfezione di La città incantata? Bisogna ammettere che dopo una prima parte introduttiva della durata di 25 minuti, si raggiunge uno stato di estasi immaginifica sempre maggiore e il film finisce per svelare un terrificante meccanismo di scrittura automatica, sospesa in un universo di meraviglie.
Nel film il ragazzo che dà il titolo al film, nel Giappone del secondo dopo guerra, va a vivere con il padre e la nuova moglie in una casa immersa nella campagna. La madre è del ragazzo è deceduta. Un uccello parlante gli fa visita e lo invita a seguirlo nel bosco. Da qui in poi le meraviglie si susseguono senza sosta. Il ragazzo e l’airone è una versione più sovraccarica de La città incantata, quest’ultimo aveva una maggiore precisione narrativa. Il nuovo film è un’avventura molto più vorticosa, se ne resta rapiti con poche possibilità di difendersi dal vortice d’immagini sorprendenti create dal regista giapponese. Quindi, per l’ennesima volta, si può affermare che la critica italiana esce vinta nel duello con l’immaginazione vulcanica e con l’ultra narrazione del maestro Miyazaki.