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Il ritorno di fiamma riguarda la necessità da parte di James Cameron di rifare se stesso. Con il primo Avatar del 2009 era rimasto ancora immune a questa tendenza (che non risparmia nessuno dei grandi autori maturi), inventandosi un modus operandi di fare cinema non citazionista o, se lo aveva fatto, era riuscito a camuffarsi benissimo. Con il secondo capitolo, Avatar – La via dell’acqua, Cameron riprende in modo pesante due delle sue creazioni più potenti, The Abyss (1989) e Titanic (1997) e le ripete, in modo quasi pedissequo. Così i Na’vi del Pianeta Pandora immersi nelle acque della nave che sta affondando, sono inquadrati nello stesso modo in cui erano inquadrati Jack e Rose sul Titanic durante la lunga fase dell’affondamento. Solo che cambiano nettamente le proporzioni. La nave del Tittaic era molto più grande e spaventosa, qui l’unica cosa spaventosa è l’ambientazione, con un acqua “aliena” dalle tonalità più colorate rispetto a quelle gelide e metalliche del 1997.
Le riprese dei corpi sott’acqua invece riprendono quelle dei corpi privi di vita ritrovati in The Abyss, durante la ricognizione per recuperare l’ordigno nucleare dal sommergibile russo. Cameron ha quindi pensato che essendo trascorsi 25 anni da Titanic e più di 30 da The Abyss fosse giunto il momento di riprendere quelle immagini, per lo più sconosciute ad un pubblico giovane, formatosi con Stranger Things e Game of Thrones. Si è permesso questa forte citazione in vista di tempi brutti come questi, in cui abbondano film biografici, tratti da una storia vera, tratti da un fumetto, da un romanzo o tratti dai movimenti di piazza. Già perché l’immaginario del secondo Avatar è come quello del primo capitolo: è tutto nuovo e originale. Cameron non ha preso da Tolkien come Jackson, che aveva fatto un difficilissimo lavoro di adattamento, si sforza di creare immaginari nuovi. E questo è un argomento enorme.
Le oltre tre ore del secondo Avatar si perdono in infiniti volteggi sottomarini, i Na’vi sono buoni e vivono in armonia con la natura e i cetacei, che dovrebbero fare paura come lo squalo di Spielberg e invece sono grandi amici dell’uomo; mentre i militari bianchi sono i personaggi negativi e perderanno la guerra per la seconda volta di fila come è accaduto nel primo film. La trama si ripete, ma il motivo per cui si fa al cinema è lo stesso motivo per cui negli anni ’30 si guardava King Kong di Cooper e Schoedsack: per restare meravigliati da immagini stupedacenti.