Il mea culpa delle Major per quel che si è perso degli anni ’80 continua. A fare il lavoro ingrato è stato scelto Denis Villeneuve, che dopo Blade Runner è stato incaricato di rinnovare anche Dune di David Lynch, secondi molti un film sacro e intoccabile. E invece no. Al bando le nostalgie. Si rinnova e si fa il calco dell’universo di Frank Herbert che fu interpretato dal genio dell’autore di Eraserhead.
Tutto è quasi identico dal film di Villeneuve al film Lynch, mancano alcuni dettagli importanti, chi conosce a memoria la versione originale li ritroverà nel film. Quella Lynch era un’opera più disturbante, il calco di Villeneuve è riadattato ai gusti del terzo millennio, con una dilatazione narrativa più sinuosa, maggiori dettagli nella trama, una recitazione più pulita. Tutto quello che nel film Lynch si può considerare datato Villeneuve lo ha tolto. E’ un’operazione di astuzia, più produttiva che estetica. Rimodellare un testo rendendolo più epico, più vicino allo spettatore di oggi attaccato alla progressione narrativa televisiva, togliendo le ossessioni del cinema di Lynch.
Il nuovo Dune è tutto concentrato sulla fotografia dai colori sabbiosi, la colonna sonora di Hans Zimmer alza il volume della torrenzialità nei momenti giusti. La cosa difficile da digerire è il finale brusco che per poco evita il cliffhanger. Non si finisce sul più bello è solo un modo per dire: “ne hai visto un pò, che non è poco, ma dovrai attendere un anno per vedere il meglio, se la pandemia non ci fermerà tutti di nuovo!” Villeneuve è un cineasta elegante e gelido come i due attori protagonisti, Thimothée Chalamet e Rebecca Ferguson.
Il nuovo Dune volta alto e introduce allo spettacolo che si vedrà tra un anno, si tiene le cose migliori per la puntata successiva e fa già vedere un intero mondo pulsante, sempre che gli incassi diano ragione dello sforzo compiuto. Per non fare la fine che fece il film di Lynch.