La serialità contemporanea vive di strappi improvvisi e ricongiunzioni inattese, continui rimodellamenti di senso, prospettive classiche rivisitate. Non c’era nulla da aspettarsi di innovativo dal nuovo episodio di X-Men: Dark Phoenix di Simon Kinberg. Eppure, il cinema sembra di nuovo muoversi, riappropriarsi di schegge d’innovazione che parevano non doversi più ripresentare.
Dark Phoenix non è nulla di nuovo, Kinberg deve comunque rispettare i topoi della serie, i canonici duelli in sospensione, i superpoteri che rendono la scena “altro”, “oltre” e ” altrove”. Eppure la struttura, l’impostazione del viaggio, sembrano aver subito deviazioni feconde, inattese. Tali da generare un surplus di piacere del tutto esplosivo. Dark Phoenix in alcuni momenti pare assomigliare ad una sorta di lotta greco-romana non ancora filtrata da apparati video ludici. Del resto, quando si parla di cinema americano, sia che ci si trovi davanti ai cowboy a cavallo che inseguono i banditi (John Ford, Howard Hawks), oppure a dei mutanti in guerra tra loro, si ha a che fare sempre con un cinema di frontiera e, quindi, con il western. Il cinema americano, specie quando si applicano i codici del genere, è sempre puro cinema di racconto, puro western. Gli X-Men non fanno eccezione.
Dark Phoenix è quindi un capitolo piuttosto pulito, arrembante, visivamente quasi minimalista, la differenza con il precedente X-Men: Apocaplyse (2016) si sente, eccome. Certo, il discorso sulla mente danneggiata della protagonista, che il dottor X tenta di riaggiustare è sicuramente abusato, ma qui l’appiglio narrativo è del tutto immediato, privo di fronzoli. Le due new entry del gruppo, Sophie Turner e Jessica Chastain, si immergono nella grande giostra dei mutanti, dando luogo a battaglie clamorosamente inedite, facendo persino a botte per prendersi la scena senza darlo mai a vedere. Del vecchio cast formatosi dal film del 2011, il Magneto di Fassbender è il migliore: sublime pugile suonato, le prende di santa ragione, con una spavalderia umile, onesta.
Allora perché si prova stupore davanti a questo Dark Phoenix? Andando a scorgere nei titoli di coda si cerca una risposta al dilemma. E alla fine i dubbi vengono messi a tacere: quando appaiono i nomi di Mauro Fiore alla fotografia, Hans Zimmer alla colonna sonora e Lee Smith al montaggio, si capisce che la sensazione di una cinematografia di alto livello è del tutto giustificata. Se per il nuovo episodio di X-Men si ingaggiano l’autore della fotografia, Premio Oscar per Avatar, e, rispettvamente, il compositore e il montatore dei film di Nolan, allora qualcosa vorrà pur dire. La produzione ha giocato pesante, ingaggiando i migliori centravanti in circolazione. E pare aver fatto centro.