Il regista catalano Albert Serra, autore di El cant dels ocells (2008) e Historia de la meva mort (2013), continua con Liberté (2019) la sua esperienza nel sistema produttivo francese, dopo La mort de Louis XIV (2016). Forse alcuni osservatori, ta cui sicuramente il sottoscritto, avrebbero preferito che il regista fosse tornato a girare in patria, dove ha fatto finora i suoi film più audaci e autentici. Ciononostante, Serra ha deciso di rivolgere nuovamente il suo sguardo verso la Storia e la cultura francese, trasponendo il progetto di Liberté, dall’iniziale pièce teatrale portata in scena in occasione del Festival di Berlino 2018, al cinema, e il risultato è un’opera sontuosamente maleodorante, rivoltante, oscena e non accomunabile a nessun’altra.
In Liberté Serra mette in scena il cosmo culturale sadiano, prediligendo i movimenti sommessi e la freddezza della messa in scena, prosciugando la messa in scena da qualsivoglia psicologismo, sentimentalismo, etica, o qualsiasi altra sovrastruttura sociologica, politica. Serra racconta l’osceno per quello che è, puro senso dell’immaginifico, cogliendo nei corpi nudi dei simulacri di una decadenza cui non sembra esserci rimedio.
Davanti a un simile spettacolo, che non ha mai accenti di sensualità o di accondiscendenza verso i gusti del pubblico, tornano in mente le modalità pasoliniane nella messa in scena del sordido e dell’inguardabile. Rispetto all’epopea del Salò/Sade tuttavia, le differenza sono infinitamente più marcate, in base al contesto storico e al modus operandi. Il lavoro di Serra resta molto più stilizzato e partecipe nel gusto fotografico nella rappresentazione del raccapriccio. Quello che interessa a Serra è filmare un tempo mistico dell’attesa. Attesa di un lampo di piacere o di un’ebbrezza ancora vergine, di lì a venire.
Liberté disegna e designa la notte come eterna compagna e ispiratrice di un mantra visivo scurrile e denso di enigmi, il suo modo di fare cinema non è paragonabile a quello di nessun altro.