All’ultimo Festival di Cannes, si parlò tanto del nostrano Gran Premio della Giuria Le Meraviglie (sinceramente, un riconoscimento piuttosto generoso), un po’ meno della Palma d’Oro che venne assegnata al turco Nuri Bilge Ceylan per il bellissimo Il regno d’inverno. Per niente, la stampa italiana si soffermò sul film Relatòs Salvajes dell’argentino Damian Szifron, ovverosia “Racconti selvaggi”.
Oltre alla discutibile traduzione del titolo, in italiano Storie pazzesche, mi ha lasciato molto perplesso il modo con cui si sta cercando di vendere il film, assegnando a Pedro Almodòvar la titolarità dell’opera. Ed è un peccato perché bisognerebbe, invece, porre l’accento sulle capacità del suo vero autore, questo Szifron, che ha dimostrato un talento raro: la capacità di raccontare un Paese, l’Argentina, in maniera universale, attraverso feroci frammenti di vita, con le armi sempre apprezzate del grottesco e del sarcasmo.
Se fossi stato uno dei membri della Giuria dell’ultimo Cannes, avrei fatto di tutto perché venisse assegnato un premio al sorprendente, violento e anarchico Relatos Salvajes. Il regista argentino racconta sei storia accomunate dall’esasperazione dei sentimenti, dall’istinto distruttivo e autodistruttivo dell’Uomo, schiacciato dall’oppressione delle istituzioni e succube dell’ambizione e del benessere economico. Alcune sequenze sono davvero indimenticabili , sorrette da un umorismo nero e da un gusto per la trovata spiazzante e beffarda che raramente si sono visti di recente sugli schermi: forse, siamo di fronte alla versione sudamericana dei ritratti cinici di Todd Solondz (Happiness) o di Ulrich Seidl (Canicola), a cui si deve aggiungere però una sanissima dose di pulp proveniente dalla poetica tarantiniana.
Quel che è certo è che siamo di fronte a un cinema anti-intellettualistico, ancora in grado di scuotere convenzioni borghesi e di non essere accomodante nei confronti della platea del Festival più celebrato. In fondo, non sorprende così tanto che la giuria presieduta da Jane Campion non volle premiarlo. Ma di cosa parlano, in conclusione, questi “racconti selvaggi”? Non accenno volontariamente alle vicende assurde che sono al centro di questi irresistibili segmenti: non vorrei mai rovinarvi la sorpresa.