Dopo il travaglio creativo e morale che ha trovato il culmine nella realizzazione di Arirang (da noi uscito in dvd), il cinema di Kim Ki-duk sembra essersi ammantato di una superiore consapevolezza politica, dimostrata per esempio anche con l’avventura produttiva di Poongsan (2011, inedito in Italia).
Come sa chi ama il cinema della penisola asiatica, i riferimenti politici diretti nel cinema coreano sono spesso camuffati o parzialmente elusivi, forse anche come retaggio psicologico di un’epoca in cui l’asprezza della censura ha impedito di inserire critiche dirette del potere (in particolare negli anni Settanta con la dittatura del generale Park Chung-hee, ma anche in seguito). Naturalmente ciò vale meno per i film degli ultimi tre lustri, con esempi quali il bel Joint Security Area (2000) di Park Chan-wook e The President’s Last Bang (2005) di Im Sang-soo fino al recente e nerissimo The Terror Live (2013, passato al Far East Film Festival di Udine) di Kim Byung-woo.
Con One on One, però, ci si trova a fare sovente i conti con una domanda non peregrina: con chi ce l’ha Kim Ki-duk? La squadra di vendicatori protagonista del suo film appare sulle prime a caccia di nemici comunisti per costringerli a confessare il delitto compiuto nel prologo. Ma in seguito gli obiettivi si offuscano e la densità politica del discorso si scioglie in un’indeterminatezza abbastanza imbarazzante, soprattutto se consideriamo il blasone del regista.
Tutto il contrario, per fare un paragone, rispetto a Red Family (2013) di Lee Ju-hyoung, sempre prodotto da Kim, in cui l’attività delle spie nordcoreane veniva intrecciata alle vicende di una vera famiglia sudcoreana, trovando una chiave di lettura insolita, per quanto il film (che è passato in concorso al Torino Film Festival) rimanesse un ibrido non del tutto convincente. A poco a poco, in One on One, si fa strada al contrario la spiacevole sensazione che le confuse aspirazioni del capo delle “Ombre” siano anche quelle di Kim stesso: combattere una dittatura astratta e indefinita (indefinibile?) che imprigiona le persone instillando in loro una violenza cieca e raccapricciante. La riflessione potrebbe anche avere una sua dignità, a patto di presentarla in altri termini. One on One si perde purtroppo in una ripetitività che fa perdere consistenza alle allegorie e annacqua le buone intenzioni della regia, che rischia di vedersi ridotta solamente a coreografare (e in modo meno efficace di altre volte) violenze, percosse e torture.