I termini dell’equazione portano a chiedersi se Gone Girl (L’amore bugiardo) sia la prova che rende David Fincher il più grande storyteller degli ultimi 15 anni nella Hollywood dei cinecomix di oggi, o se sia solo un’operazione dove la furbizia narrativa rende appetibile al pubblico un mèlo gelido, fin troppo costruito.
In Gone Girl Nick Dunne (Ben Affleck) viene incriminato per la morte della moglie Amy (Rosamund Pike). Si viene a sapere che il rapporto tra i due si era nel tempo incrinato. Nella seconda parte del film si avrà una svolta che farà prendere all’intrigo una strada completamente diversa da quella che ci si poteva attendere. Fincher si impossessa dal materiale narrativo come iena che fiuta una preda nella foresta, si basa su un budget relativamente ridotto di 61 milioni, per simulare un film molto più ricco, tratta i personaggi di Ben Affleck e Rosamund Pike come delle cavie da laboratorio, osserva il disfarsi del loro rapporto come fosse il composto base di una miscela ben più esplosiva che da lì a poco esplode in un tutto il suo fragore.
Fincher utilizza il contesto della follia per descrivere la normalità di personaggi che tentano una via di fuga dalle loro stesse cattive inclinazioni. Si può prendere il suo atteggiamento manipolatorio come un segno di inquietudine, da cui il grande narratore non può staccarsi, previo l’annichilimento di uno sguardo, che già si annuncia come gelido e senza forma. Il nodo scorsoio costruito da Fincher in Gone Girl fa si che il soffocamento del dramma ampli lo spettro visivo verso una nuova collocazione spaziale del nesso tra la violenza esibita e il suo contenuto feticista. Il film di Fincher si prodiga per disfarsi di regole imposte al genere per decenni. Eì per questo motivo che la svolta narrativa che coinvolge il personaggio di Amy, porta verso la riappropriazione da parte della donna, di una vita spezzata che subito si tenta di ricomporre. Questo passaggio di meccanica emotiva spinge Fincher verso il formalismo più spinto. La declamazione eterna di un’arte della contraffazione spinta verso l’eccesso del continuo ribaltamento dei ruoli.
Fincher aveva innovato con un film nobile e imperfetto come Zodiac, avevo tracciato una nuova via nella narrazione americana con il capolavoro The Social Network, ora si accinge a tornare dalle parti di Seven con un’opera che ne ricalca la forma e ne esaspera il contenuto. Fino a che punto Gone Girl sia un film onesto e sensato è difficile dirlo. Per ora si può solo ammirare la potenza devastante con cui la sua macchina narrativa sfreccia nelle strade impervie di un genere dove quasi tutti i mestieranti hanno fallito.