I film musicali trovano finalmente spazio nei cinema. Dopo il delizioso Tutto può cambiare, con il suo stile pop romantico, arriva nelle sale nostrane un’altra pellicola, Frank di Lenny Abrahamson che vede la composizione e la musica al centro della scena, ma la musica in questione è molto meno pop, e molto più strana, per essere gentili. Le composizioni del giovane Jon, prima, e quelle di Frank e la sua band dal nome impronunciabile (Soronprfbs) poi, sono infatti quanto di più distante dai riff facili e i ritornelli che Keira e Adam Levine cantano, ma sono però composizioni spontanee, nate davvero dal quotidiano.
Jon trova ispirazione per comporre da tutto ciò che gli sta attorno, che sia un viale di periferia, una donna con il cappotto rosso, una bambina con il palloncino… tutto finisce nelle sue canzoni, che finiscono però in un archivio ormai smisurato che nessuno sembra davvero approvare. Tutto cambia per lui quando in riva al mare si scontra con i Soronprfbs, e nell’esaurimento nervoso del loro tastierista. Jon dopo un breve, brevissimo, colloquio, verrà così ingaggiato dal loro manager Don per il concerto serale, e, visto che di un tastierista hanno bisogno nella composizione del nuovo album, anche per il ritiro in una baita isolata dal resto del mondo.
Quello che davvero caratterizza i Soronprfbs non è solo la loro musica stralunata e gran poco commerciale, ma è soprattutto il loro leader, quel Frank pieno di magia e bravura che non si toglie mai, proprio mai, una testa gigante di cartapesta. E non per fare il personaggio sul palco, non per nascondere la sua identità, no, Frank è quella testa, quella testa è il suo volto. A completare la band, ci pensano poi due membri francesi che spettegolano e sparlano tra loro e una suonatrice di theremin schizofrenica con ogni probabilità innamorata di Frank. Rinchiusi nello chalet di montagna, i Soronprfbs passano mesi e mesi a ricercare i suoni perfetti da inserire nel disco, scartando così volta per volta ogni canzone di Jon, che non riuscendo ad inserirsi nel gruppo, registra per il suo blog, per il suo twitter e per il suo canale youtube quanto in quel luogo al di fuori del mondo avviene. E così si crea un piccolo seguito, dei fan accaniti che ritwittano e condividono, che vogliono vedere la band in azione. E la possibilità arriva, con un festival in America che li vuole.
E qui ci si blocca, e non parlo solo di Frank che nel confronto con il suo pubblico perde letteralmente la testa, ma con lo stesso film, che se nella prima parte vive nella stranezza dei personaggi che racconta, nell’iconica testa che rende ogni inquadratura unica, finisce poi per incagliarsi in situazioni tragicomiche e assurdità difficili da seguire e ascoltare. Quella frizzantezza e quel ritmo tipico dei film indipendenti che ci veniva promesso, rallenta e si perde, cedendo alle ostinazioni di Jon di farsi accettare e di avere successo, all’ostinazione di Clara nel rimanere nel loro mondo a sé, per proteggere ma anche per privare gli altri di Frank.
Sostenuto comunque da ottime prove di attori (dal nuovo volto british di Domhnaal Gleeson alla sempre brava Maggie Gyllenhaal, anche se la scena viene rubata da quel Michael Fassbender che nemmeno una maschera riesce a fermare e che in un personaggio atipico per la sua filmografia trova la spensieratezza e il buffo che con le mani e le parole ben esprime) Frank pecca prima di tutto in una colonna sonora strana ma non troppo d’effetto (si salvano la Most likeable song ever e I love you all), e poi per essere in poche parole un cult mancato, una promessa non del tutto mantenuta che porta sì ad un bel film, ma forse a niente più di tutto questo.