Buoni a nulla

Gianni e Marco sono due colleghi di lavoro dal carattere mite, costretti a subire quotidianamente il comportamento arrogante da parte dei superiori e delle belle colleghe, fino ai petulanti vicini di casa. Un giorno decidono di unire gli sforzi per farsi finalmente valere.
    Diretto da: Gianni Di Gregorio
    Genere: commedia
    Durata: 87
    Con: Anna Bonaiuto, Gianni Di Gregorio
    Paese: ITA
    Anno: 2014
5.1

Le (dis)avventure del signor Gianni arrivano alla terza puntata. E i critici che avevano applaudito con qualche entusiasmo di troppo l’esilissimo Pranzo di Ferragosto e, con alcune riserve, anche il successivo Gianni e le Donne, prendono a storcere il naso.

"Buoni a nulla" regia Gianni Di Gregorio

C’era da scommetterci. Non soltanto perché la formula poteva iniziare a stancare i sostenitori. Il fatto è che appena un cinema solo superficialmente minimale come quello di Gianni Di Gregorio prova ad alzare le ambizioni, il rischio di apparire ai più sopra le righe e del tutto fuori registro si fa forte. La riprova, se vogliamo, la si ha a titolo di esempio col personaggio di Cinzia (Valentina Lodovini) in questo film. Oca dai seni enormi generosamente esibiti, ammaliatrice tutta gridolini e superficie, Cinzia sembra costantemente una caricatura, come nelle più sciatte commedie nostrane di impronta televisiva. Quale conseguenza, lo spettatore-critico comincia ad arricciare le labbra, perché dal “registattore” romano si vorrebbe qualcosa di più e di meglio che una “commediola” di stereotipi, garbata ma con una sceneggiatura sfilacciata e uno sguardo evanescente sul mondo della burocrazia ministeriale romana. Come se Playtime e il Monsieur Hulot di Jacques Tati, citati senza fantasia da molti, c’entrassero vagamente qualcosa. E anche: come se lo stereotipo della sciocca e formosa non servisse a meglio disegnare l’esangue imbecillità dell’innamorato Marco (Marzocca, bravissimo).

"Buoni a nulla" regia Gianni Di Gregorio

Per quanto il ritmo e la felicità delle gag non siano sempre dei migliori, Buoni a Nulla riesce invece a dirci qualcosa sul Belpaese di furbastri in cui ci troviamo a sguazzare. Soprattutto, ci sussurra che esso non è figlio solo di una classe dirigente parassitaria e imbelle, ma nasce e si rinforza ogni giorno nei piccoli comportamenti quotidiani e negli esempi di cui ciascuno si fa latore agli altri. Il modo in cui, nel breve giro di un paio di scene, lo smarrito impiegato Gianni passa da esodato incline alla mestizia ad adulatore servile e spregiudicato opportunista, fa pensare alla fulminea malizia che lampeggiava in certi momenti nelle sapide commedie di Risi e Monicelli. La reiterata gag dell’attraversamento della strada, lungi dall’essere stanca e ripetitiva, cita esplicitamente e con significative variazioni l’episodio de I Mostri in cui un pedone sprezzante fermava il traffico, salvo rivelarsi subito dopo il peggiore dei pirati della strada. Malgrado i personaggi viscidi e calcolatori di Alberto Sordi e soci rimangano per forza di cose modelli inarrivabili, si noti anche come il rapporto che si instaura tra Gianni e Marco, troppo buono per usare davvero i gomiti e prendersi ciò che vuole, riproduce – anche solo per qualche aspetto – quello del cattivo maestro Gassman che ne Il Sorpasso prendeva sotto la sua ala funesta l’inesperto e studioso Trintignant.

"Buoni a nulla" regia Gianni Di Gregorio

Piaccia o meno, Buoni a Nulla tenta di instaurare un dialogo tra il “comico” del cinema di Di Gregorio e la tradizione della satira cinematografica italiana, a differenza del 90% delle commedie del nostro Paese, che hanno come principale quando non unico interlocutore il pubblico televisivo. Il film avrà pure qualche scivolone di scrittura (mai però imbarazzante), tuttavia ha la lucidità per individuare in questi accondiscendenti mezzemaniche e più in generale nei tanti uomini di basse ambizioni il gene di quell’arroganza cafona e di quella volgarità che nell’Italia del XXI secolo continuano a prosperare prive di vergogna. Come lo scanzonato finale sta lì a ricordare, prima o poi arriva sempre qualcuno più prepotente e più deciso a reclamare la sua parte e il suo posto, senza nemmeno “esodare” nessuno. Ma intanto, se il viso da travet di Di Gregorio continua a ispirare fiducia e bonomia nonostante il regista si sia fatto carico di un personaggio che al fondo è molto meno simpatico e amabile dei suoi precedenti (altro che cinema da tinello!), sarà il caso di chiederci se riusciremo mai ad andare oltre i luoghi comuni, nel giudicare le persone come nel valutare i film per ciò che dicono davvero.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...