Un castello in Italia

Louise è una donna sulla quarantina che vuole finalmente dare un senso alla sua vita. Conosce per caso Nathan, giovane attore che la corteggiarla. Sarà l'inizio di uno strano rapporto.
    Diretto da: Valeria Bruni Tedeschi
    Genere: commedia
    Durata: 104'
    Con: Valeria Bruni Tedeschi, Filippo Timi
    Paese: FRA
    Anno: 2013
5.9

Dopo È più facile per un cammello… (2003) e Attrici (2007), Valeria Bruni Tedeschi torna per la terza volta dietro la macchina da presa. Con Un castello in Italia, presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes, l’attrice (protagonista) e regista tenta di fondere l’autobiografismo – gli elementi narrativi di fondo sembrano ammiccare alla sua storia familiare e personale – e stramberie dai toni grotteschi.

Ciò che ne esce è un film che non sa bene che strada percorrere: gli elementi drammatici e l’alternarsi di un registro decisamente più grottesco da commedia non riescono a fondersi felicemente, dando vita ad un’opera che appare come un mero capriccio artistico da snob e per snob (cinefili?).
A tutto ciò poi non giova la presenza di personaggi fastidiosissimi e di plastica – davvero delle macchiette involontarie – ad affiancare la Bruni Tedeschi, come quelli interpretati da Filippo Timi, fratello malato di AIDS, che come al solito gigioneggia e fa il maledetto, e Louis Garrel, attore tormentato e amante, come lo era stato davvero nella vita, del personaggio della Bruni Tedeschi.
Il nucleo narrativo, ovvero la storia di una famiglia un tempo ricchissima, costretta a vendere una proprietà pregna della loro storia, il castello del titolo, situato fuori Torino, e la storia d’amore della protagonista faticano davvero ad accendere l’interesse, sia nello spettatore medio che in quello più esigente e cinefilo.
I molti temi messi sul piatto (la famiglia, l’amore, la malattia ecc.), figli di un’eccessiva ambizione dell’autrice, non riescono proprio a lasciare nulla, e l’andare continuamente e improvvisamente sopra e sotto le righe non aiuta di certo ad appassionarsi nemmeno per un momento ad un film già dai primi minuti insipido, pieno di sé, isterico e infantile, come i suoi personaggi.
Il teatrino radical chic messo in scena dalla Bruni Tedeschi è quanto di più fastidioso e inutile si sia visto negli ultimi tempi. Un film di cui non si sentiva proprio il bisogno.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.