Futuro imprecisato. Il mondo è governato da misteriose corporazioni che controllano gli umani attraverso videocamere di sorveglianza. Un genio del computer, Qohen Leth, vive recluso in una cappella, lavorando incessantemente al progetto "Teorema Zero" sulla formazione del Big Bang.
Diretto da: Terry Gilliam
Genere: fantascienza
Durata: 107'
Con: Christoph Waltz, Mélanie Thierry
Paese: USA, ROM
Anno: 2013
5.6
VOTO AUTORE RECENSIONE9
C’è da scommettere sul fatto che in molti prenderanno sotto gamba, se uscirà, l’ultimo film di TerryGilliam, The Zero Theorem (2013). Mi sembra un film perfetto per una incomprensione totale e priva di qualsiasi ripensamento. Verrà bollato (è già successo a Venezia nel 2013) come un’operetta buffa, sconclusionata e senile.
Per quanto mi riguarda devo dire che da par mio ho esultato come non mi sarebbe mai capitato di fare con un simile prodotto. Non avrei dato alcuna fiducia a questo ultimo film di Gilliam, autore che doveva farsi perdonare film dall’incerto esito estetico come I fratelli Grimm, Tideland e un’operazione più consapevole e personale ma faticosa come Parnassus L’uomo che voleva ingannare il diavolo. Gilliam è un regista difficile che ha girato pochi film veramente puntuali e circolari: Brazil e L’esercito delle 12 scimmie. Il resto della sua filmografia rimane impresso in una nuova di dubbi e idiosincrasie.
Con The Zero Theorem abbiamo a che fare con un’opera folle, confusa, faticosa. Ma il suo fascino è nei periodi morti, nelle ellissi, nelle situazioni paradossali, nelle fasi dove l’anarchia e lo sberleffo diventato tutt’uno con l’architettura post moderna delle scenografie e dei costumi. The Zero Thoerem è un’opera dove l’apertura ideologica verso un cosmo altero genera il sentimento della rimozione perpetua del senso di ogni immagine. Gilliam ha diretto ilm film con un budget limitato e tempi di lavorazione ridotti. Questa economia di mezzi deve avergli fatto bene. Il film che ne risulta sprizza vitalità ad ogni scena, riportando alla mente i vecchi capolavori degli anni ’80-’90 del suo autore.
In The Zero Theorem c’è forse traccia de I banditi del tempo, Brazil, L’esercito delle 12 scimmie, in un surplus magmatico di idee la follia prende corpo seguendo le linee sghembe del pensiero di Gilliam, chiamato per l’ennesima volta a organizzare il caos. DarrenAronofsky e RichardKelly, da bravi mediocri, prenderebbero il discorso sul serio e crollerebbero sotto il peso dei rispettivi ego.
Gilliam no, perché è un cineasta che conosce i tempi del grande cinema, riconosce la fattura del mind-game, risponde alla follia generata dallo script con l’effervescenza del suo umorismo paranoico e stralunato. Quello che esce fuori è un attacco totale alla tecnologia e all’esigenza di iperconnessione dell’era contemporanea, dove vige la “regola” della solitudine digitale. Gilliam non fa come SpikeJonze in Lei, dove quest’ultimo riprende lo sguardo assente di un Joaquin Phoenix pietrificato davanti al suo pc, ma filma i pensieri di Christoph Waltz dando vita ad un cosmo visivo di rara potenza visiva.
The Zero Theorem è il film di un regista che odia la tecnologia digitale, odia il world wide web al cui interno, secondo la sua mentalità, si cela un mostro-grande fratello che controlla le menti degli utenti.
Si può discutere liberamente sull’originalità della trama, quel che conta è la necessità intrinseca del racconto, che diventa portale di dubbi e angosce permeanti il quadro visivo, dove i personaggi risultano tutti sconfitti, dove alla fine l’unica cosa che rimane è un senso d’inquietudine derivante dall’aver affrontato un viaggio in cui la meta è la scoperta dell’assenza della meta.
La scenografia, anarchica e underground, tra cui spiccano dipinti pseudo religiosi e statue di Madonne piangenti, con un Cristo con una telecamera al posto della testa, è l’elemento da cui si riconosce maggiormente lo stile del regista di Brazil, al quale ci si abbandona con un certo piacere se si riesce a resistere nei primi vorticosi 15 minuti. The Zero Theorem è una commedia demenziale di fantascienza dove il romance e la paranoia si fondono in un mix puntualmente inafferrabile, dove la nostalgia per ciò che è irrimediabilmente perduto si fonde con l’ideologia del dominio della tecnologia sull’uomo.
Dopo la visione di The Zero Theorem volevo sincerarmi del fatto che l’ultimo film di Gilliam si collegasse anche solo in maniera superficiale al resto della sua filmografia, e sono andato a recuperare la sua opera precedente, The Imaginarium of Doctor Parnassus il cui fascino credevo fosse svanito nel tempo. Mi sono reso conto che il cinema di Gilliam produce perle rare che non solo resistono ad ogni visione, ma che si possono capire molto meglio a distanza di anni dalla prima visione, cosa che non è successa ad altri film di un cantastorie parallelo a Gilliam, come Tim Burton, difatti il suo Big Fish, per non parlare di Alice in Wonderland è difficile da rivedere tenendo conto proprio di questa macchina narrativa delle meraviglie che non arretri di fronte a nulla.
Parnassus è un’opera molto meno sconclusionata di quanto molta critica abbia voluto vedere e The Zero Theorem ne è la sua prosecuzione malata, vertiginosa, giocosa e fuori tempo massimo, un nettare che solo gli amanti di Gilliam possono apprezzare pur nella sua totale mancanza di esigenze di rinnovamento.