John Reid parte con suo fratello Dan Reid, Texas Ranger, per arrestare il pluri ricercato Butch Cavendish. Ma il piano si trasforma in un'imboscata. Muoiono tutti, tranne John Reid che viene salvato da Tonto, un indiano matto. Insieme partiranno per vendicarsi di Cavendish.
Diretto da: Gore Verbinski
Genere: avventura
Durata: 149'
Con: Johnny Depp, Armie Hammer
Paese: USA
Anno: 2013
Con The Lone Ranger (2013) alla coppia Verbinski–Bruckheimer non è riuscito il colpaccio di rinnovare il successo strabordante della serie Pirati dei Caraibi (2003-2011).
Nei quattro capitoli sulle gesta del sempre più ammuffito e monocorde Jack Sparrow Verbinski ne aveva fatte vedere di tutti i colori. Era uno schema altamente ripetitivo e stantio che alla lunga stonava alla grande con tutto l’armamentario divistico e con il budget sproporzionato. Inoltre si aveva anche la sensazione non lontana di un sentore di cinema palesemente finto dove il digitale la faceva da padrone e il circo di rutilanti visioni dava lo stesso effetto di una pietanza dai mille sapori, dove il salato era mischiato al dolce e non si capiva il motivo di una tale sproporzione.
Un cinema così stantio aveva bisogno d una svolta tellurica che si pensava non sarebbe mai avvenuta da una copia miliardaria e conservatrice come, appunto, quella di Verbinski-Bruckeimer.
Miracolo: The Lone Ranger supera brillantemente l’esame. Come mai?
Si tratta in definitiva di una concezione di cinema vicina ad un fantasy molto più realistico, perfettamente inquadrato in un delta temporale e storico, in cui la narrazione, sempre semplice e magnificamente calibrata tra ritmi lenti e azione furibonda (ma mai violentata con un montaggio sfrenato), non evita di affrontate anche il giudizio storico.
La storia racconta la Storia di come le tribù indiane vennero cacciate via dall’uomo bianco colonizzatore che, dopo averli derubati dell’argento, volevano costruire su un territorio vergine una ferrovia.
I personaggi indicano una tipizzazione dell’eroe che punta tutto su una ironia che rende l’intera operazione assolutamente stimolante.
L’utilizzo della cornice storica che serve da subito a mettere in prospettiva gli eventi è folgorante. Il cinema diventa così mito, leggenda, viene riconsiderata sotto un aspetto favolistico la massima fordiana di L’uomo che uccise Liberty Valance (1962): nel west tra la verità e la leggenda viene stampata la leggenda (ma senza gli orrendi flashback didascalici di J. Edgar o i patetismi di Big Fish di Tim Burton: in The Lone Ranger il discorso è interno al quadro di riferimento).
Il cinema fordiano viene così utilizzato secondo una prospettiva postmoderna, in cui viene indicato che ormai tutto è stato già scritto sulle pagine di Storia. Non resta che raccontare le vicissitudini degli eroi che ne hanno preso parte.
Il gioco, anche per questo motivo, funziona, anche perché è abbastanza sporco e violento e gli attori funzionano che è una meraviglia.
Dimenticarsi le tipizzazioni cartonesche dei Pirati dei Caraibi, su The Lone Ranger il discorso è ambientato nella Monument Valley di John Ford, il carrozzone di Verbinski mescola tre grandi filoni estetici: il cinema western derivato dal classico del 1903 La grande rapina al treno, lo western di Fred Zinnemann Mezzogiorno di fuoco (1952) e il cinema brutale di Sergio Leone, tutto imbevuto nell’atmosfera favolistica della saga dei Pirati.
Non stupisce che il pubblico americano gli abbia detto di no: su 215 milioni il box office segna un magro ricavo di 255 milioni. Più da parte estera che americana. Cose che capitano. Questo strano western con paesaggi mozzafiato e personaggi che fanno da archetipi di una frontiera che non esiste più devono aver respinto i più.
Non ci sono molte battute sagaci, la camera rimane molto ferma e la mancanza di star come Keira Knightley, Orlando Bloom, Geoffrey Rush, Penelope Cruz non ha giovato al lancio pubblicitario. E’ un errore di valutazione niente male, ma ci può anche stare. Il pubblico io più delle volte è incomprensibile se non volubile e accontentarne sempre la pancia e le voglie può trarre in inganno.
Forse stavolta Verbinski ha fatto quello che non avrebbe dovuto fare: ha girato un film normale, degno dei tempi migliori della Hollywood-Babilonia che sfornava i film più folli e divertenti.
Un altro aspetto importante: The Lone Ranger registra ha un basso utilizzo di effetti speciali. Quando lo si vede non si ha quella sensazione di fastidio e di “finto”, come per esempio con il più che fortunato e inguardabile Lo Hobbit (2012) di Peter Jackson. Stavolta i paesaggi sono veri e gli attori non sono più inseriti in contesti fuori fuoco e senza senso.
Johnny Depp è un Tonto pacatamente leggendario e Armie Hammer funziona perfettamente come protagonista sottotono, senza apparire come il classico belloccio da cover, avendo l’anima del caratterista di lusso e non della star.
Il resto del cast lo fanno Tom Wilkinson, una sempre straordinaria e indispensabile Helena Bonham-Carter, William Fichtner, Barry Pepper e un’eccezionale Ruth Wilson. Nessuna star. Solo caratteristi di lusso.
Mi viene in mente se un’attrice giovane e calibrata come Ruth Wilson fosse stata al posto della Kidman su Australia (2008) di Baz Luhrmann, forse il film non avrebbe subito quel naufragio estetico che poi è stato.