La vita sentimentale di Xavier è complicata: sposato con Wendy e padre di due bambini, decide di donare il suo seme a Isabelle, lesbica che vuole a tutti i costi un figlio. Wendy per tutta risposta vola a New York portando via i figli. Xavier sarà costretto a emigrare negli USA per riprendersi la famiglia.
Diretto da: Cédric Klapisch
Genere: commedia
Durata: 117'
Con: Romain Duris, Audrey Tautou
Paese: FRA, USA
Anno: 2013
Dopo L’Appartamento spagnolo (2002) e Bambole Russe (2005), il regista Cèdric Klapisch chiude la sua trilogia sullo scontro culturale in epoca Erasmus, con Rompicapo a New York, riprendendo i personaggi di Xavier, Wendy, Martine e Isabelle. Ora Xavier Rosseau si è sposato e divorziato con l’americana Wendy, ha avuto due figli e ha vissuto a Parigi. Sta scrivendo un romanzo intitolato “Rompicapo a New York” e prova a mettere ordine nella sua esitenza.
Chi scrive non ha apprezzato i capitoli precedenti, film con aria troppo cool e immersi in maniera ossessiva nella loro epoca di inizio anni 2000 nel periodo globalizzazione, ma che non possedevano un vero sguardo sul mondo e sulle cose e personaggi così interessanti da essere raccontati. Con Rompicapo a New York, si ripete il medesimo schema di narrazione e stile: tornano tutti i personaggi, una città (in questo caso La grande Mela) fa da teatro a un crogiolo di personaggi europei che lottano per sistemare le proprie vite e cercare un equlibrio.
Così in questo episodio, Xavier (sempre interpretato da Romain Duris) dopo aver divorziato, si trasferisce a New York dall’amica lesbica Isabelle a cui ha donato il seme per diventare mamma, sposa una ragazza asiatica per ottenere il Visto, ha un’avventura amorosa con l’amica Isabelle in gita lavorativa negli USA e quando può lavora e cura i due figli, lasciandosi il tempo per il romanzo. Succedono tante cose in Rompicapo a New York, si vorrebbe raccontare dell’angoscia esistenziale del nuovo millennio con tocco ironico ma niente ha vero peso, così per 115 interminabili minuti assistiamo a un fiume verboso di dialoghi inutili, svolte di cui non ce ne importa granché persi tra i palazzi newyorchesi che tutto inghiottono.
Quello che vediamo è una pellicola priva di sguardo inedito(stesso difetto dei primi due film) stereotipi culturali e lungaggini. Klapisch che non si capisce, arrivati a conclusione di questa trilogia cosa abbia voluto davvero dirci, cerca di stemperare con ironia e leggerezza con gag sorpassate e spessore psicologico pari a zero. Così questa operazione cinematografica durata 12 anni cade nel ridondante, in una vacuità filmica che fa chiedere cosa e perché abbiamo visto le avventure di questi personaggi e perché li si siano dedicati bene tre pellicole. Presumibilmente non troverà un proprio pubblico, tranne quello che ha accettato di sorbirsi tutta la storiella per intero dal 2002.