“Cara famiglia Spivet, starò via un po’ di tempo per sistemare qualche lavoro. Non preoccupatevi starò bene.” Da qui parte il viaggio, e il film stesso, del piccolo genio Spivet, alla ricerca della propria realizzazione, di una consacrazione che poi apparirà frivola rispetto a ciò da cui all’inizio si allontana, quegli stravaganti personaggi surreali che infondo però sono la sua famiglia. E’ un’ode all’America, a quella dagli sconfinati paesaggi, anche se da cartolina, in cui sono i colori smaccatamente eccessivi e gli atteggiamenti bizzarri di personaggi improbabili a caratterizzare il mondo (cinema) del piccolo genio Spivet, alter ego di Jeunet stesso, entrambi dediti alla creazione, all’invenzione, alla scoperta. Sono bizzarri, eccentrici i personaggi di Jeunet, anche se appare evidente quanto abbia attenuato i virtuosismi rispetto a ll favoloso mondo di Amélie (2002), che ne ha consacrato il successo.
Presentato alla scorsa edizione del festival Internazionale del Film di Roma, Jeunet muove i primi passi nel cinema dedicandosi sin dagli inizi alle tecniche d’animazione, che caratterizzerà il suo cinema a venire, realizzando poi diversi spot come quello per Chanel o la Peugeot, fino a Delicatessen, primo film che lo pone all’attenzione della critica, diretto con il disegnatore e regista francese Marc Caro e marcato da una piacevole vena grottesca e di sarcasmo che lascerà, nei film successivi, spazio ad accenti più intimi e sentimentali. Utilizzando il tradizionale viaggio come metafora della crescita, appare così l’ultimo delicato lavoro di Jeunet, lievemente avventuroso, in cui solo a tratti lascia intravedere accenni di una costruzione filmica ricercata, come si fosse affievolito, quasi snaturato, quello spirito iniziale di eccentrica stravaganza.