Bilbo Baggins decide di intraprendere un viaggio alla riconquista del tesoro di Erebor, insieme a 13 scatenati nani.
Diretto da: Peter Jackson
Genere: fantasy
Durata: 164'
Con: Martin Freeman, Ian McKellen
Paese: USA, NEW ZEL
Anno: 2012
Che Peter Jackson sia stato costretto a girare Lo Hobbit Un viaggio inaspettato? Come si potrebbe altrimenti spiegare un simile risultato?
Il film di Jackson parte dal presupposto tutto hollywoodiano che il successo di una saga si debba ripetere, le cifre gigantesche che aveva accumulato la prima trilogia (2001-2003) dovevano essere bissate da un nuovo successo. Ognuno dei tre capitoli della saga tolkieniana-jacksoniana erano costati sui 90 milioni di dollari ciascuno. Il primo dei tre film della nuova trilogia di cui Lo Hobbit è il primo capitolo si attesta sui 180 milioni. Il doppio.
Come mai? Questo conferma quella regola classica che diceva che un regista che a Hollywood aveva speso 90 milioni di dollari per fare un film, una volta che questo si era rivelato un successo al box office, questo regista, al successivo film non poteva girare un film meno costoso di 90 milioni. Jackson aveva contravvenuto a questo assunto perché Amabili resti era costato quasi la metà di uno dei capitoli della prima saga: 65 milioni.
A quanto pare stavolta Jackson pur di tornare a giocare con i capitali di Hollywood ha dato sfoggio di tutta la possibile potenza immaginifica della colossale macchina spettacolare che Hollywood è capace di sfoggiare, che in questo caso è inversamente proporzionale alla capacità di sintesi e di necessità narrativa che si ritrova in questo Lo Hobbit.
Alla sceneggiatura tornano a lavorare la triade che aveva partorito anche Il Signore degli anelli, Walsh, Boyens, lo stesso Jackson, ma in più si aggiunge Guillermo Del Toro, autore de Il labirinto del Fauno e la saga cinecomix di Hellboy. In quattro hanno sfornato uno script che danza intorno alle acque di un nulla pluri stratificato dalla tendenza che ha Hollywood di accumulare dettagli visivi di sorprendente profondità, ma che poi celano una mancanza di idee spaventosa a livello di narrazione e, quel che è peggio, nella profondità dei personaggi.
Il cast dei nani non aiuta. Il pessimo lavoro di casting conforma un gruppo abbastanza nutrito di facce monocordi che non dettano mai una prospettiva di visione che abbia il barlume di un senso.
Tanto per fare un esempio: solo quando entrano in scena a Gran Burrone il quartetto d’attori McKellen, Weaving, Blanchett, Christopher Lee si comincia a vedere la classe di una recitazione degna di questo nome.
Per il resto, sulla narrazione del tutto annacquata de Lo Hobbit basta soffermarsi sul fatto che, mentre il testo de Il Signore degli Anelli era un libro piuttosto lungo e già diviso in tre capitoli suddivisi in maniera molto netta, quindi degno di una suddivisione in tre film, Lo Hobbit è lungo un terzo de Il Signore degli Anelli e non necessitava di una narrazione così lunga. Al massimo Jackson avrebbe potuto trane un film di 100 minuti, massimo 120, ma arrivare a 170 minuti solo per doppiare l’esatta durata del primo film della precedente trilogia La compagnia dell’anello significa solo fare i furbi.
Resta da dire forse l’unico motivo per cui il film era degno di essere visto: Lo Hobbit è il primo e finora unico film ad essere girato alla velocità di 48fps (fotogrammi per secondo). La profondità della visione si sente, chi ha visto il film in 3D avrà avuto una sensazione forse stordente di un grande spettacolo dai piedi d’argilla, ma dal punto di vista meramente spettacolare questa tecnica consente di manifestare un’azione che prima sarebbe stata impensabile: poter vedere nitidamente scene d’azione con un realismo che spiazza e stupisce.
Jackson ha voluto stupire tutti con questa estrema concezione di sperimentalismo che pretende di essere riconosciuta come arte, con la A maiuscola. Lo Hobbit è girato sontuosamente, le sue scenografie lasciano senza fiato, eppure per puri errori di strategia, nonostante il box office abbia rispettato alla grande le richieste della New Line, il risultato è la misera constatazione di trovarsi di fronte ad un deja-vu di cui ci si domanda la reale necessità.